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Torneo solidale al Corviale

// 7 maggio, 2010 // articoli di giornale

In campo diciotto squadre di ragazzi, anziani

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e disabili

ROMA – Basta violenza. Basta compe­tizione esasperata. Il calcio è un gioco e come tale deve esse­re vissuto dai giovani. Che sia­no fuoriclasse, poco dotati o diversamente abili. Tutti insie­me a tirare calci a un pallone, per divertirsi, per sentirsi una famiglia e anche per superare insieme grandi e piccoli pro­blemi quotidiani. É questa la fi­losofia che dà vita al calcio so­ciale di Corviale. Un quartiere difficile e peri­ferico della Capitale, dove lo sport può essere una valida al­ternativa alla cattiva strada. E così, anche grazie all’impegno della Regione, che ha messo a disposizione del progetto un vecchio stabile dell’Ater a Cor­viale, trecentocinquanta fami­glie, provenienti da tutta Ro­ma, già dal mese prossimo si ritroveranno due volte a setti­mana per giocare il loro tor­neo.

Un

torneo speciale, fatto di diciotto squadre molto equi­librate, dove l’unico premio è il divertimento e la gioia di sta­re insieme. «Le squadre vengo­no composte col sorteggio dei giocatori – spiega Massimo Vallati, fondatore di calcio so­ciale – in base ai coefficienti da­ti

ad ogni singola persona e in modo che il coefficiente totale sia per tutte lo stesso». Ed ecco perché, al fianco di una vecchia gloria delle giova­nili della Roma ormai in là con gli anni si può trovare un ra­gazzo con una disabilità, fisica o mentale. Ed ecco perché, per una delle regole

del calcio so­ciale, in

caso di un rigore si tro­verà sul dischetto il meno bra­vo della squadra. Ed ancora, ecco perché se un giocatore ha già segnato tre gol, anche se dovesse trovarsi solo davanti alla porta avversaria, dovrà passare la palla ad un suo com­pagno e far segnare a lui

il gol. «Fissando delle regole per il calcio, si fissano anche quelle per la vita – prosegue Vallati ­. Da noi vengono uomini e don­ne, ragazzi di 10 anni come si­gnori di 75. Spesso si creano le­gami molto forti, ma soprattut­to si può guarire: ovvero se qualcuno è depresso e si trova a stare vicino ad un disabile sentirà presto il suo problema come più piccolo di quello che pensava. E d’altra parte un por­tatore di handicap potrà final­mente dire di aver vinto un torneo di calcio».

Ma, oltre a quelli passati sul campo ad inseguire un pallo­ne ecosolidale (perché fatto da aziende che non sfruttano il la­voro dei bambini), ci sono an­che altri momenti di

aggrega­zione, come ad esempio le ce­ne in cui i calciatori si trasfor­mano in cuochi e sfornano piatti di pasta di Libera, l’asso­ciazione contro le mafie.

Clarida Salvatori
05 ottobre 2009

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