Teatro in Municipio XI
// settembre 12th, 2017 // Commenti disabilitati su Teatro in Municipio XI // storie di corviale
Sala Consiliare “Luigi Petroselli”
Via Marino Mazzacurati, 75
16, 17 e 18 settembre 2017
Ingresso gratuito
Gli inquilini di Corviale amano il mostro. Anche se non lo capiscono ne sono affascinati. Hanno quasi un senso di fierezza ad abitare in un palazzo così conosciuto, discusso e fatto oggetto di attenzione continua da parte dei media
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Esce il libro di Andrea Riccardi.
Nel volume lo storico esplora la nuova frontiera della Chiesa nel mondo globale
Vivere il Vangelo tra la gente dei quartieri degradati, l’impegno indicato dal Papa.
Pubblichiamo un estratto dal saggio dello storico Andrea Riccardi «Periferie. Crisi e novità per la Chiesa» (Jaca Book), che esce giovedì 7 aprile. Un viaggio nelle realtà marginali che si richiama agli appelli di Papa Francesco.
La condizione umana è cambiata rapidamente nel XX secolo: ai primi del Novecento solo un decimo degli abitanti del mondo viveva nelle città, soprattutto nel Nord America e in Europa, mentre nel 2030 si prevede che quasi il 60% della popolazione mondiale sarà urbana. Il pianeta è una realtà ormai urbanizzata: nel secolo scorso si è avviata la grande svolta, che ha invertito il rapporto tra città e campagne. Nel 2007, in pieno processo di globalizzazione, per la prima volta nella storia umana, gli abitanti delle città hanno superato quelli delle campagne: il mondo è divenuto essenzialmente urbano. Ma tutto questo è avvenuto in modo molto particolare: gran parte della popolazione delle città vive ormai nelle periferie. Paolo Sellari osserva che le città del Terzo Mondo tendono a riprodurre la dialettica centro-periferia che in larga parte caratterizza ancora oggi il mondo socio-economico, non solo nei centri urbani ma in interi Paesi.
La periferia caratterizza in profondità il mondo contemporaneo con agglomerati che si addensano attorno alle città. Infatti il processo di urbanizzazione globale induce un fenomeno caratteristico della città contemporanea: la cosiddetta slumizzazione. Nel 2003, il 71,9% della popolazione dell’Africa subsahariana vive negli slum. Questa è la condizione urbana più diffusa nel continente: quella di periferico. A livello mondiale gli abitanti degli slum accolgono oggi il 31,6% della popolazione. È un popolo enorme. Un mondo che non ha voce, ma riceve costanti messaggi da un centro («mediatico»), che attrae verso standard di vita peraltro non praticabili. I periferici sono un popolo di «esclusi», che vengono continuamente sollecitati e messi a contatto con modelli non raggiungibili.
I problemi concreti posti dal rapido cambiamento della condizione di vita della popolazione mondiale sono numerosi: da quelli inerenti agli approvvigionamenti alimentari, a quelli della diminuzione o dell’inquinamento delle risorse idriche, alla difficoltà dei trasporti urbani (inadeguati o estremamente carenti in alcune città), agli ovvi, ma drammatici, problemi del lavoro. La realtà umana e sociale della città del XXI secolo è fortemente diversa da quella della città novecentesca. La presenza di grossi agglomerati di proletariato (quindi di periferici) nella città novecentesca spesso era in rapporto dialettico o conflittuale con il «centro» attraverso la realtà della lotta politica e sindacale, ma in fondo si ritrovava — pur in contrapposizione — all’interno di un orizzonte comune. Attraverso lo scontro e la politicizzazione delle aspirazioni della periferia, si veniva a creare un processo integrativo.
Oggi è molto diverso. Le periferie, che sono molto più integrate da un punto di vista di comunicazione rispetto a quelle del secolo scorso, sono invece distaccate e non rappresentate da un punto di vista sociale e politico. Qui spesso le reti sociali sono scadenti o assenti. Il controllo sugli spazi urbani periferici risulta complesso e difficile, tanto che vaste aree — specie nelle megalopoli — finiscono sotto il dominio di mafie e di cartelli internazionali o nazionali del crimine.
La città del XXI secolo è sempre meno una comunità di destino. Anzi, mentre una parte di essa viene assorbita nei flussi globali e procede sulla via dell’internazionalizzazione, un’altra resta ai margini e fuori dai circuiti di integrazione, se non sprofonda in una condizione di isolamento. Sono i quartieri abbandonati dove spesso le persone vivono per l’intera esistenza e dove forse i figli faranno la stessa vita dei genitori. L’universo delle megalopoli si è strutturato in modo che molto spazio abitato diventi luogo di esclusione. La megalopoli produce costantemente periferie urbane e periferizzazioni umane. Di fronte a questa realtà, specie nel Sud del mondo, lo Stato e le istituzioni sovente rinunciano ad un controllo reale di questi spazi. Diventa un mondo perduto, in cui i drammi umani e sociali si annodano con reti criminose e ribellismi endemici, nel quadro di una cultura della sopravvivenza.
Il cristianesimo — su impulso di papa Bergoglio — ha la possibilità di comprendere in modo nuovo la condizione umana e urbana del XXI secolo. Certo questo processo richiede profondi cambiamenti. Non è più possibile affrontarlo con la mappatura territoriale, tipica di altre età, fortemente influenzata dal mondo delle campagne, che divideva lo spazio in circoscrizioni predefinite. L’idea stessa di territorio come habitat esclusivo dell’uomo e della donna è rimessa in discussione dalla mobilità umana e dai trasporti, oltre che dalle comunicazioni via internet. Il sistema pastorale si rivela inadeguato.
Dopo il Vaticano II, sulla scorta del rinnovamento dell’eccelesiologia, si è molto insistito sulla dimensione della Chiesa locale, ma è stato un rinnovamento a metà. La Chiesa locale, a sua volta, ha spesso una visione centralistica che non dà spazio alle periferie. Non basta dividere le diocesi e rendere il centro più prossimo alle periferie. Occorre suscitare nuove realtà cristiane nelle periferie, accettandone la storia e la configurazione. Non tutto può essere programmato dal centro. E la diversità delle esperienze cristiane sullo stesso territorio non significa competitività. Il vero punto focale è quello di un cristianesimo inserito nella cultura e nella realtà urbana, soprattutto, delle periferie.
Papa Francesco, parlando ai superiori generali delle comunità religiose, ha fatto un’importante affermazione: «Io sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto».
La «chiave ermeneutica» di Franceso non è un progetto di riforma della Chiesa attraverso strutture più decentrate. È una proposta che va recepita e realizzata con costruttività, inaugurando o continuando percorsi nelle periferie e con una visione dal basso. Bisogna infatti chiedersi che cosa significa vivere il Vangelo in un mondo urbano globale così cambiato, anzi vorrei dire in una «civiltà» per tanti aspetti nuova, come quella introdotta dalla globalizzazione. Per compiere questa operazione così importante, che rappresenta un passaggio storico, occorre dislocarsi nelle periferie come vissuto cristiano e come punto di partenza per un’intelligenza della realtà. Non si tratta di una posizione ideologica, ma di ripensare una storia che può e deve ricominciare da queste posizioni e di maturare una visione in questi ambienti.
Il tema delle periferie e quello della città globale segnano un passaggio fondamentale da una concezione ecclesiastica della Chiesa e della pastorale, che faticosamente e con contraddizioni ha provato a recepire il Concilio Vaticano II, a una concezione di Chiesa di popolo. Non si tratta certo di sottovalutare il ministero sacerdotale, ma di non concentrare in esso tutta la responsabilità pastorale (come si fa generalmente, nonostante i tanti discorsi di segno contrario e quelli ricorrenti contro il clericalismo). Si deve far emergere un popolo che, nella sua complessità e interezza, sia capace di comunicare il Vangelo, di viverlo nelle periferie delle città, di dar origine a percorsi cristiani diversi, anche se convergenti nell’unica grande famiglia della Chiesa.
La periferia che Andrea Riccardi incontra agli inizi della sua esperienza nel 1968, ancora studente, è, dice “una specie di rivelazione. Un mondo al contrario, ma non solo. un mondo umano, violento ma anche straordinario”.
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Segnaliamo un post sul blog Wilfing Architettura: la trascrizione di una ripresa video realizzata dal Centro Audio Visivo di ciò che, sino a quando nel 1982 non nacque l’Ateneo di Reggio Calabria, era lo IUSARC (Istituto Universitario Statale di Architettura). Una struttura Universitaria che aveva nello IUAV di Venezia il suo esatto omologo. Il Centro Audio Visivo, condotto da Celestino Soddu, nel contesto di una struttura universitaria di architettura posta nel meridione del Paese, aveva il compito di rendere culturalmente meno periferica la sede, attraverso una raccolta di materiale che un equipe appositamente predisposta e attrezzata andava a cogliere con le telecamere ed i microfoni lì dove avvenivano eventi distanti da Reggio Calabria ma importanti per la crescita culturale della sede e dei suoi studenti. Un materiale importante, raccolto nell’arco di circa dieci anni di attività, tra cui una serie di testimonianze come questo commento di Mario Fiorentino sul noto e discusso progetto di Corviale. Nel curarla e rileggerla, nello specifico, devo dire che ho trovato la conferma della superficialità con cui oggi trattiamo presente e passato e non solo della storia dell’Architettura. Un progetto, infatti, ha sempre un lato contingente, che ne sancisce la sua più o meno riuscita, ma ha anche un lato non contingente, in cui vengono messe alla prova metodologie e tecniche o affrontati temi inediti, che sono complessivamente la cifra che più dovrebbe interessare chi, come noi, continua ad occuparsi di architettura. Io credo che, in questo testo, vi sia esattamente un concentrato di questa cifra che, comunque la si pensi, è l’oggetto ed il lascito più importante di un qualsiasi progetto. Nello specifico, l’intervista fa parte di un materiale documentario prodotto in occasione della Mostra Architettura Italiana degli anni settanta, curata da Enrico Valeriani e Giovanna De Feo, ed esposta presso la Galleria di Arte Moderna di Roma e la Triennale di Milano nel 1981.
Leggi tutto su Wilfing Architettura, 15/03/2012
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Passati in rassegna i problemi più rilevanti di un territorio popolato quanto il comune di Reggio Emilia
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GEAPRESS – Una leggenda metropolitana romana asserisce che l’architetto che ha redatto il progetto si è suicidato appena vide edificare la sua creatura. Un falso, anche perché gli architetti, in realtà, furono cinque. Ma come in tutte le leggende, anche per quella di Corviale c’è un nocciolo di verità. Provate ad immaginare un palazzo alto nove piani e lungo un chilometro. Anzi due serie di palazzi con in mezzo spazi che dovevano servire a socializzare … . E’ il “serpentone” di Roma, ovvero Corviale.
Periferia occidentale della capitale. Appena un chilometro a nord dell’ansa che il Tevere forma alla Magliana. Quella al cui interno c’è l’ippodromo Tor Di Valle. A Corviale ci sono 1200 appartamenti in buona parte abusivamente occupati. Scantinati, officine fai da te, imperscrutabili depositi dei palazzi di serie B. Tutto a Corviale appare di serie inferiore. E’ lì che i romani per bene additano i loro concittadini “coatti”. Non sarà degradato come lo ZEN 2 di Palermo o le Case dei Puffi a Scampia, ma anche da quei palazzi (anzi, da quel palazzo) i cittadini di serie B escono per lavorare ad ore nelle case dei romani di serie A. Chi invece ci rimane, sempre, sono gli animali che nella muraglia di uomini e cemento, vivono e spesso muoiono.
Continua a leggere su GeaPress, 08/12/2011
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(ASCA) – Roma, 6 ago – Attivarsi per sbloccare i 20 milioni di euro nella disponibilita’ dell’Ater per riqualificare il complesso di Corviale, anziche’ pensare di abbatterlo. E’ quanto chiede il consigliere regionale del Lazio, Enzo Foschi (Pd), manifestando la sua obiezione alla proposta dell’assessore alle Politiche per la casa, Teodoro Buontempo, di abbattere il complesso sulla Portuense.
Proprio oggi un gruppo di cittadini si e’ riunito sotto il palazzo della Regione per protestare contro l’ipotesi di demolire il serpentone.
”Su Corviale – dichiara Foschi – l’assessore Buontempo non sta dalla parte dei cittadini. Questo mi pare evidente, anzi, con le sue proposte, umilia proprio il lavoro svolto da anni e con grande impegno e passione dagli abitanti di Corviale per completare il progetto inziale e dare un’anima al luogo in cui abitano”.
”Con la proposta di abbattere quelle case – prosegue il consigliere – sembra che l’assessore si sia iscritto a tutti gli effetti al Pdl cioe’ al partito del chiacchiericcio della politica fatta di parole. A meno che non voglia aprire spazi alla speculazione. Dove e in quali aree dovrebbero essere costruite le nuove case,e da chi? Credo sia il caso di lasciar stare le ciarle e iniziare a dare risposte concrete ai cittadini del complesso della Portuense”.
res/mcc/ss
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È invece la periferia a fare da sfondo a Et in terra pax, selezionato per le “Giornate degli Autori”. I due registi, romani non ancora trentenni, sono amici d’infanzia; cresciuti all’Alberone, hanno frequentato insieme tutte le scuole, maturando la passione per il cinema e insieme hanno diretto cortometraggi e videoclip.
Realizzato in soli 17 giorni di riprese, con attori e troupe di giovanissimi – in buona parte allievi del Centro Sperimentale, e con un budget di appena 30mila euro, garantito da due produttori coraggiosi Gianluca Arcopinto e Simone Isola, Et in terra pax è solo in parte un film sul disagio della periferia romana. “Non volevamo realizzare un film di denuncia sociale – dichiarano Botrugno e Coluccini un film di denuncia sociale – quanto soffermarci sulla psicologia dei personaggi, portare alla luce una condizione di precarietà e solitudine, di cui il “Serpentone” di Corviale è in qualche modo simbolo. Abbiamo perciò evitato di esporre giudizi morali o etici: d’altra parte siamo convinti che il quartiere dove è ambientato il nostro film non sia affatto la periferia più violenta e criminale della città, anche se questa convinzione è assai diffusa”.
Il loro film si compone di tre storie: quella di Marco, che, dopo cinque anni in carcere, torna a casa alla ricerca di una vita normale ma, rifiutato dalla famiglia, riprende a spacciare. Quella di Sonia, universitaria che per mantenersi lavora in una bisca e infine quella di tre ragazzi, Faustino, Massimo e Federico, legati da un’amicizia che li illude di essere invulnerabili. Le tre vicende sono destinate intrecciarsi in un crescendo drammatico di fuoco, sangue e violenza.
Storia, personaggi e atmosfere rimandano a un modello facilmente identificabile: Pasolini. “In effetti – ammettono i registi – Pasolini è un punto di riferimento, ma non solo cinematografico, soprattutto letterario. Mentre, essendo cinefili accaniti, dal punto di vista iconografico nel film ci sono molti modelli di ispirazione e in particolare il cinema russo e orientale”.
Franco Montini
(14 agosto 2010) – La Repubblica
link all’articolo originale
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Repubblica — 23 marzo 2006 pagina 2 sezione: ROMA
Vivremo in una città fatta per due terzi di verde, con 23 metri quadrati a testa di parchi e giardini. Abiteremo una capitale con 610 chilometri di binari per tre passanti ferroviari e quattro linee metropolitane fino oltre il raccordo, con 310 stazioni che metà dei romani raggiungerà a piedi da casa. Lavoreremo in una metropoli in cui 500.000 persone troveranno un’ occupazione indotta dalla rivoluzione urbanistica del nuovo piano regolatore, che attiva 40 miliardi di investimenti (stime Ecosfera). A volte fare i conti aiuta a capire. A comprendere com’ è che alla fine di una maratona istituzionale la città delle associazioni e delle categorie, degli industriali e degli ambientalisti, della politica e della cultura si sono trovate con un calice in mano a brindare. è «la più grande manovra urbanistica dalla storia di Roma Capitale», dice il sindaco Walter Veltroni ringraziando maggioranza e opposizione per «la concertazione e il clima istituzionale, un capitolo importante del modello Roma». Una manovra che coniuga «speranza, desiderio e sogno» in un piano che «ha accolto il 25% di 7.000 osservazioni “controdedotte”», cioè discusso fino alla noia e al particolare; che integra il «documento sulla partecipazione approvato il 2 marzo» vincolando alla consultazione continua dei cittadini nelle “case dei municipi” e nella “casa della città”; un piano che fa sue «la delibera sull’ edilizia residenziale pubblica per 22mila stanze» approvata ieri all’ alba, e altri provvedimenti per un totale «di 68mila stanze, pari a 22mila appartamenti che costituiscono il 23% del totale residenziale». Ancora, un Prg che ridisegna la ferita di Corviale destinandole «servizi per integrare e migliorare la vita dei suoi abitanti» e risparmiandole il piccone evocato da An; che risana il Laurentino 38 con «il recupero qualitativo e con la demolizione dei due ponti». Dalle “mani sulla città” del passato che brucia, dove i costruttori stiparono alveari oggi a rischio anche sotto il profilo statico, si passa alle scelte selettive di diradamento, con demolizioni e ricostruzioni: è accaduto in via Giustiniano Imperatore e potrà accadere a Marconi, al Tiburtino o al Tuscolano. Dall’ urbanistica che insegue i quartieri abusivi si arriva alla progettazione di 18 centralità metropolitane dotate di tutto, servizi culturali e amministrativi, sportivi e tecnologici. Lì si sono distese cubature più intense, 4,1 milioni di metri cubi alla fine di una cura dimagrante chiesta dai quartieri stessi, perché il cemento pioverà per arricchire, moltiplicando il gioiello che l’ era fascista realizzò all’ Eur, l’ unica centralità metropolitana che già esiste. Così l’ Eur di domani si fa in diciotto, da Acilia a La Storta, da Torre Spaccata a Ponte Mammolo. Intanto, il centro antico si allarga a “città storica” e passa da mille a 7.000 ettari, tutelando 25.000 punti di interesse. Nelle periferie nasceranno dai cittadini i piani particolareggiati per ridisegnare gli 80 “toponimi”, i quartieri abusivi degli anni Ottanta, mentre pubblico e privato collaboreranno finanziariamente nei “programmi integrati” per Torre Maura e Giardinetti, Ottavia o Torre Angela. Intanto, via libera alla grande architettura: dopo i gioielli di Meyer e Piano arrivano quelli di Fuksas, Hadid, Koolhaas… – PAOLO G. BRERA
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Repubblica — 26 ottobre 2002 pagina 15 sezione: ROMA
Musica elettronica, videoarte, architettura sono gli ingredienti di Sonicity 2002, il progetto realizzato dall’ associazione culturale Moorroom per Corviale. Il quartiere romano, progettato dall’ architetto Fiorentino nel 1972 e realizzato dieci anni dopo, è il palcoscenico in cui oggi si esibiscono musicisti e artisti. Una manifestazione composta da più eventi, a partire dalle 19, nel secondo e terzo lotto di quello che è considerato uno dei grandi edifici in Europa: 750 mila metri cubi di cemento, 958 metri di lunghezza, 200 di spessore e 30 di altezza per mille e 200 alloggi per anni abbandonati o occupati abusivamente. Il progetto ha natura di carattere sociale e di recupero di una zona lontana dai fermenti culturali. Dal 23 settembre al 12 ottobre è stato organizzato un workshop con i ragazzi che vivono a Corviale per dare loro gli strumenti minimi per realizzare un video sul loro quartiere, ora proiettato nel percorso che attraversa l’ edificio. I grafici italiani Coemae, i vj Riccardo Arena e Claudio Sinatti con le loro videoistallazioni verticali, il norvegese HC Gilje che presenta un video sugli aspetti architettonici di Corviale, Luigi Rizzo con il suo video in steadycam sono alcuni degli artisti che si sono misurati con questo strano prodotto dell’ architettura.