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Andrea Riccardi: oggi Gesù abita nelle periferie

// aprile 16th, 2017 // Commenti disabilitati su Andrea Riccardi: oggi Gesù abita nelle periferie // articoli di giornale

Esce il libro di Andrea Riccardi.
Nel volume lo storico esplora la nuova frontiera della Chiesa nel mondo globale
Vivere il Vangelo tra la gente dei quartieri degradati, l’impegno indicato dal Papa.
Pubblichiamo un estratto dal saggio dello storico Andrea Riccardi «Periferie. Crisi e novità per la Chiesa» (Jaca Book), che esce giovedì 7 aprile. Un viaggio nelle realtà marginali che si richiama agli appelli di Papa Francesco.

La condizione umana è cambiata rapidamente nel XX secolo: ai primi del Novecento solo un decimo degli abitanti del mondo viveva nelle città, soprattutto nel Nord America e in Europa, mentre nel 2030 si prevede che quasi il 60% della popolazione mondiale sarà urbana. Il pianeta è una realtà ormai urbanizzata: nel secolo scorso si è avviata la grande svolta, che ha invertito il rapporto tra città e campagne. Nel 2007, in pieno processo di globalizzazione, per la prima volta nella storia umana, gli abitanti delle città hanno superato quelli delle campagne: il mondo è divenuto essenzialmente urbano. Ma tutto questo è avvenuto in modo molto particolare: gran parte della popolazione delle città vive ormai nelle periferie. Paolo Sellari osserva che le città del Terzo Mondo tendono a riprodurre la dialettica centro-periferia che in larga parte caratterizza ancora oggi il mondo socio-economico, non solo nei centri urbani ma in interi Paesi.

La periferia caratterizza in profondità il mondo contemporaneo con agglomerati che si addensano attorno alle città. Infatti il processo di urbanizzazione globale induce un fenomeno caratteristico della città contemporanea: la cosiddetta slumizzazione. Nel 2003, il 71,9% della popolazione dell’Africa subsahariana vive negli slum. Questa è la condizione urbana più diffusa nel continente: quella di periferico. A livello mondiale gli abitanti degli slum accolgono oggi il 31,6% della popolazione. È un popolo enorme. Un mondo che non ha voce, ma riceve costanti messaggi da un centro («mediatico»), che attrae verso standard di vita peraltro non praticabili. I periferici sono un popolo di «esclusi», che vengono continuamente sollecitati e messi a contatto con modelli non raggiungibili.

I problemi concreti posti dal rapido cambiamento della condizione di vita della popolazione mondiale sono numerosi: da quelli inerenti agli approvvigionamenti alimentari, a quelli della diminuzione o dell’inquinamento delle risorse idriche, alla difficoltà dei trasporti urbani (inadeguati o estremamente carenti in alcune città), agli ovvi, ma drammatici, problemi del lavoro. La realtà umana e sociale della città del XXI secolo è fortemente diversa da quella della città novecentesca. La presenza di grossi agglomerati di proletariato (quindi di periferici) nella città novecentesca spesso era in rapporto dialettico o conflittuale con il «centro» attraverso la realtà della lotta politica e sindacale, ma in fondo si ritrovava — pur in contrapposizione — all’interno di un orizzonte comune. Attraverso lo scontro e la politicizzazione delle aspirazioni della periferia, si veniva a creare un processo integrativo.

Oggi è molto diverso. Le periferie, che sono molto più integrate da un punto di vista di comunicazione rispetto a quelle del secolo scorso, sono invece distaccate e non rappresentate da un punto di vista sociale e politico. Qui spesso le reti sociali sono scadenti o assenti. Il controllo sugli spazi urbani periferici risulta complesso e difficile, tanto che vaste aree — specie nelle megalopoli — finiscono sotto il dominio di mafie e di cartelli internazionali o nazionali del crimine.

La città del XXI secolo è sempre meno una comunità di destino. Anzi, mentre una parte di essa viene assorbita nei flussi globali e procede sulla via dell’internazionalizzazione, un’altra resta ai margini e fuori dai circuiti di integrazione, se non sprofonda in una condizione di isolamento. Sono i quartieri abbandonati dove spesso le persone vivono per l’intera esistenza e dove forse i figli faranno la stessa vita dei genitori. L’universo delle megalopoli si è strutturato in modo che molto spazio abitato diventi luogo di esclusione. La megalopoli produce costantemente periferie urbane e periferizzazioni umane. Di fronte a questa realtà, specie nel Sud del mondo, lo Stato e le istituzioni sovente rinunciano ad un controllo reale di questi spazi. Diventa un mondo perduto, in cui i drammi umani e sociali si annodano con reti criminose e ribellismi endemici, nel quadro di una cultura della sopravvivenza.

Il cristianesimo — su impulso di papa Bergoglio — ha la possibilità di comprendere in modo nuovo la condizione umana e urbana del XXI secolo. Certo questo processo richiede profondi cambiamenti. Non è più possibile affrontarlo con la mappatura territoriale, tipica di altre età, fortemente influenzata dal mondo delle campagne, che divideva lo spazio in circoscrizioni predefinite. L’idea stessa di territorio come habitat esclusivo dell’uomo e della donna è rimessa in discussione dalla mobilità umana e dai trasporti, oltre che dalle comunicazioni via internet. Il sistema pastorale si rivela inadeguato.

Dopo il Vaticano II, sulla scorta del rinnovamento dell’eccelesiologia, si è molto insistito sulla dimensione della Chiesa locale, ma è stato un rinnovamento a metà. La Chiesa locale, a sua volta, ha spesso una visione centralistica che non dà spazio alle periferie. Non basta dividere le diocesi e rendere il centro più prossimo alle periferie. Occorre suscitare nuove realtà cristiane nelle periferie, accettandone la storia e la configurazione. Non tutto può essere programmato dal centro. E la diversità delle esperienze cristiane sullo stesso territorio non significa competitività. Il vero punto focale è quello di un cristianesimo inserito nella cultura e nella realtà urbana, soprattutto, delle periferie.

Papa Francesco, parlando ai superiori generali delle comunità religiose, ha fatto un’importante affermazione: «Io sono convinto di una cosa: i grandi cambiamenti della storia si sono realizzati quando la realtà è stata vista non dal centro, ma dalla periferia. È una questione ermeneutica: si comprende la realtà solamente se la si guarda dalla periferia, e non se il nostro sguardo è posto in un centro equidistante da tutto».

La «chiave ermeneutica» di Franceso non è un progetto di riforma della Chiesa attraverso strutture più decentrate. È una proposta che va recepita e realizzata con costruttività, inaugurando o continuando percorsi nelle periferie e con una visione dal basso. Bisogna infatti chiedersi che cosa significa vivere il Vangelo in un mondo urbano globale così cambiato, anzi vorrei dire in una «civiltà» per tanti aspetti nuova, come quella introdotta dalla globalizzazione. Per compiere questa operazione così importante, che rappresenta un passaggio storico, occorre dislocarsi nelle periferie come vissuto cristiano e come punto di partenza per un’intelligenza della realtà. Non si tratta di una posizione ideologica, ma di ripensare una storia che può e deve ricominciare da queste posizioni e di maturare una visione in questi ambienti.

Il tema delle periferie e quello della città globale segnano un passaggio fondamentale da una concezione ecclesiastica della Chiesa e della pastorale, che faticosamente e con contraddizioni ha provato a recepire il Concilio Vaticano II, a una concezione di Chiesa di popolo. Non si tratta certo di sottovalutare il ministero sacerdotale, ma di non concentrare in esso tutta la responsabilità pastorale (come si fa generalmente, nonostante i tanti discorsi di segno contrario e quelli ricorrenti contro il clericalismo). Si deve far emergere un popolo che, nella sua complessità e interezza, sia capace di comunicare il Vangelo, di viverlo nelle periferie delle città, di dar origine a percorsi cristiani diversi, anche se convergenti nell’unica grande famiglia della Chiesa.


La periferia che Andrea Riccardi incontra agli inizi della sua esperienza nel 1968, ancora studente, è, dice “una specie di rivelazione. Un mondo al contrario, ma non solo. un mondo umano, violento ma anche straordinario”.

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Segnaliamo un post sul blog Wilfing Architettura: la trascrizione di una ripresa video realizzata dal Centro Audio Visivo di ciò che, sino a quando nel 1982 non nacque l’Ateneo di Reggio Calabria, era lo IUSARC (Istituto Universitario Statale di Architettura). Una struttura Universitaria che aveva nello IUAV di Venezia il suo esatto omologo. Il Centro Audio Visivo, condotto da Celestino Soddu, nel contesto di una struttura universitaria di architettura posta nel meridione del Paese, aveva il compito di rendere culturalmente meno periferica la sede, attraverso una raccolta di materiale che un equipe appositamente predisposta e attrezzata andava a cogliere con le telecamere ed i microfoni lì dove avvenivano eventi distanti da Reggio Calabria ma importanti per la crescita culturale della sede e dei suoi studenti. Un materiale importante, raccolto nell’arco di circa dieci anni di attività, tra cui una serie di testimonianze come questo commento di Mario Fiorentino sul noto e discusso progetto di Corviale. Nel curarla e rileggerla, nello specifico, devo dire che ho trovato la conferma della superficialità con cui oggi trattiamo presente e passato e non solo della storia dell’Architettura. Un progetto, infatti, ha sempre un lato contingente, che ne sancisce la sua più o meno riuscita, ma ha anche un lato non contingente, in cui vengono messe alla prova metodologie e tecniche o affrontati temi inediti, che sono complessivamente la cifra che più dovrebbe interessare chi, come noi, continua ad occuparsi di architettura. Io credo che, in questo testo, vi sia esattamente un concentrato di questa cifra che, comunque la si pensi, è l’oggetto ed il lascito più importante di un qualsiasi progetto. Nello specifico, l’intervista fa parte di un materiale documentario prodotto in occasione della Mostra Architettura Italiana degli anni settanta, curata da Enrico Valeriani e Giovanna De Feo, ed esposta presso la Galleria di Arte Moderna di Roma e la Triennale di Milano nel 1981.

Leggi tutto su Wilfing Architettura, 15/03/2012

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60 euro per contribuire ad aprire campo sportivo al Corviale ora nel degrado

ROMA – Una piccola fetta di un campo di calcio per restituire la speranza. E’ ‘regala un metro quadro’, l’ultima iniziativa di ‘Calciosociale’ per sostenere la legalita’ e i valori dell’accoglienza nel difficile quartiere romano di Corviale. Il metro quadro in questione, acquistabile simbolicamente con un versamento di 60 euro, e’ quello di uno dei due impianti sportivi del ‘Campo dei Miracoli’, una struttura in completo stato di degrado all’ombra del ‘Serpentone’.

La struttura sportiva di Via Poggio Verde, concessa in locazione dall’Ater a Calciosociale nel 2009 per gli ‘alti meriti sportivi nel volontariato’, era da anni inattiva, abbandonata al degrado e all’incuria e in mano alla microcriminalita’ del quartiere. La scommessa di Calciosociale e’ quella di riuscire, in nove mesi, a restituire il ‘Campo dei Miracoli’ a Corviale, per offrire alle migliaia di famiglie del serpentone un luogo dove poter mandare a giocare i propri figli in un ambiente sano e protetto.

Un progetto reso ancor piu’ impegnativo dalle difficolta’ del quartiere: Corviale, progettato nel 1972 e consegnato ai primi inquilini solo dieci anni dopo, e’ storicamente afflitto da bassa scolarizzazione e assenza di servizi, che hanno condizionato una crescita asimmetrica del quartiere rispetto alle zone limitrofe. Non solo: queste variabili hanno creato terreno fertile per la delinquenza giovanile e la microcriminalita’ organizzata. Il progetto di Calciosociale si basa su una formula relativamente semplice: giocare una nuova tipologia di calcio, aperta a tutti e basata su regole fuori dalla logica comune, ma dall’alto impatto sociale.

Dal 2005 un gruppo di educatori e tecnici sportivi sperimentano il modello nel torneo God is Love (Gil), che gode del patrocinio del Presidente della Repubblica e del Senato della Repubblica.

Partito con quattro squadre, il Gil coinvolge oggi oltre 300 giocatori di tutte le eta’ con le relative famiglie: uomini e donne, ragazzi e ragazzi, giovani con disabilita’ e ragazzi con problemi di droga o disagio familiare, inseriti in 18 squadre la cui composizione viene sorteggiata per ottenere team dello stesso valore. Il regolamento e’ quello del calcio, ma ad arbitrare sono i capitani e i partecipanti osservano delle regole speciali, come quella che impedisce a un giocatore di segnare piu’ di tre gol a partita e che induce quindi i piu’ individualisti a mettersi al servizio della squadra.

da Ansa, 24/12/2011
di Alessio Taralletto

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Gilles Feingold HA FONDATO MA-RESIDENCE.FR, IL PRIMO SOCIAL NETWORK DEDICATO AI CONDOMINI Bologna come New York. Anzi, Bologna anticipa New York. La prima esperienza di condominio superaccessoriato bussa al civico 4 di via Casini. Siamo nel quartiere Pilastro, in un palazzone di 19 piani e 72 famiglie. È lì che nel 2001 il pensionato Gabriele Grandi decide di offrire servizi ai propri condomini. Così da subito accende Teletorre19, una tv via cavo a circuito chiuso trasmessa anche sul web. Obiettivo: informare i vicini di casa sul traffico della tangenziale nell’ora di punta. Di lì a pochi mesi, grazie alla tv di comunità, sono nati una palestra, una biblioteca e una sala biliardo. «Ma noi non abbiamo nulla a che vedere con l’America, qui abbiamo cercato di fare comunità e di condividere il tempo libero tra vicini di casa», si schernisce Grandi.

In effetti, niente da invidiare ai condomini della Grande Mela, dove si moltiplicano aree comuni dotate di ogni comfort. A oggi quasi 60 milioni di americani vive in homeowners association, supercondomini che organizzano manutenzione, polizie locali e si occupano dei servizi comuni. Gated communities o privatopias, come le ha definite Evan McKenzie dell’Università dell’Illinois nell’omonimo libro. Il rovescio della medaglia della partecipazione condominiale? Per McKenzie questi agglomerati sono insediamenti fortificati con regole proprie e amministrazioni private.

Da noi non si arriva a tanto, anche se il vicinato di casa è una patente che coinvolge molti. Per l’esattezza il 53,4% degli italiani vive in condominio. A dirlo è l’Eurostat, segnalando come il dato sia il più alto in Europa. Così spesso, di necessità virtù, ci si organizza e si condivide. Anche in rete. Una rivoluzione che riguarda le grandi città e che trova la rete come strumento di diffusione. È successo a Roma con Corviale network, web tv che ha messo in luce voci e volti dell’edificio chiamato “serpentone”, formato da due palazzi che si snodano per circa 1 chilometro, 1.200 appartamenti (ufficiali) raccontati in una tv di comunità della periferia romana. A Firenze nel quartiere Le Piagge un blog condominiale informa su ciò che accade, denunciando l’inquinamento e la malavita. A realizzarlo sono i condomini di via del Pesciolino, un complesso di 11 palazzi disposti a ferro di cavallo con 122 famiglie. Blog supercliccato, anche per i post sulle antenne condominiali o sulle norme per lo smaltimento dei rifiuti.

Da Firenze a Milano. È da casa sua che Elena Salomoni manda online Mammeinradio.it, web radio che aggrega le mamme del condominio (all’inizio) e della città (grazie al crescente successo). Un pronto intervento per le neomamme, questo l’obiettivo della web radio. Oggi il canale ha nel team una neonatologa, una psicologa e altre professioniste del settore maternità. Mammeinradio.it ha debuttato due anni fa e oggi conta migliaia di iscritte. «Tanti in Italia cercano soluzioni comuni a problemi comuni, sopravvivono alla crisi con le risorse della solidarietà e nel farlo mettono le basi di un’altra economia», afferma Roberta Carlini, in libreria con «L’economia del noi» per Laterza. Carlini racconta dei gruppi d’acquisto di quartiere, delle nuove comunità del free software, dei gruppi di abitazione o di autocostruzione e di coworking. «Le pratiche dell’economia del noi sono molte e assai diverse tra loro. La collaborazione di massa nel web dà alle economie di comunità strumenti potenti per costruire proprie “filiere corte” facilmente connesse in rete», precisa.

Fenomeno sociale. È stato lanciato (con successo) anche il primo social network dedicato ai condomini: trattasi di Ma-residence.fr, esperienza francese nata con lo scopo di riunire i condomini sul web. Su questa nuova piattaforma si può chiedere amicizia, scrivere messaggi, chattare o lanciare eventi e feste solo ed esclusivamente con i vicini di casa. L’ideatore del progetto è Gilles Feingold. «Il sito è utilizzato dagli abitanti di 11mila immobili in Francia. Così Ma-residence.fr rende più dinamica la vita locale», ha dichiarato Feingold a «Le Parisien». Comunicazione di prossimità, geolocalizzata e di comunità. E spesso green. La sostenibilità ambientale è la chiave su cui si moltiplicano queste esperienze, come ha descritto David Owen in «Green Metropolis», pubblicato in Italia dall’Università Bocconi Editore.
Condomini creativi, verdi e figli delle nuove tecnologie. Ma attenzione. Dalle community la forza passa alle comunità. Fisiche, reali, di buon vicinato.

da Il Sole 24 Ore, 26/05/2011
di Giampaolo Colletti

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Nel geoblog presentato al Mitreo di Corviale sono state raccolte (nel laboratorio di Microstorie ) sia le storie registrate delle varie voci dei protagonisti incontrati nel territorio sia quelle stesse dei bambini che rivelano le loro storie, reali ed immaginarie…

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ROMA (25 settembre) – Corviale per molti è «un mostro da abbattere». Così la pensa, ad esempio, Teodoro Buontempo, assessore regionale alla Casa, Un chilometro di cemento che taglia l’orizzonte della campagna romana. Per altri invece è un pezzo di periferia da riqualificare e tutelare. La disputa dura da anni e probabilmente andrà avanti per molto ancora. Nel frattempo in quel gigantesco blocco di cemento la legalità nell’assegnazione degli alloggi è poco più di un optional.

«Gli inquilini assegnatari – racconta un abitante che ha visto nascere Corviale ma che preferisce non dire e soprattutto non leggere il suo nome – sono soltanto una minima parte. La stragrande maggioranza è costituita da famiglie che hanno occupato e sono in attesa di sanatoria». Il fenomeno della compravendita è molto diffuso. «Quelli che hanno le bollette dell’acqua intestate – riprende l’inquilino di Corviale – sono solo una minoranza. Ma la conduttura dell’acqua è unica. Così il costo pro-capite è diventato sempre più grande, paghiamo anche 50 euro per il consumo di tutti tra pochi». Il canone invece è rimasto pressoché invariato. E c’è anche chi ha un reddito minimo e paga 7,5 euro al mese.

Continua a leggere su Il Messaggero, 25 settembre 2010

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Quasi quaranta: il Serpentone è maggiorenne da un pezzo e si può dire che ha maturato un’ identità determinata e un amalgama ben delineato, una coesione ben precisa che si è guadagnato sul campo. Ora che si è sviluppata una seconda generazione di “corvialini”, si può pensare di re-immaginare Corviale. Re-immaginare Corviale significa reinventare una nuova periferia, usando fantasia e creatività. Ci sono sempre tanti problemi, come l’annosa questione degli ascensori malfunzionanti, oppure la cattiva pulizia delle scale, problemi cui provvedono direttamente gli abitanti da anni, ma chi abita qui non si vergogna più e ha invece acquisito un certo orgoglio d’identità.

Corviali saluti a tutti!

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Repubblica — 03 giugno 2004 pagina 1 sezione: ROMA

Caro direttore, leggo su La Repubblica che “il Sindaco di Roma ha inviato una lettera al Presidente della Regione Francesco Storace per sollecitare una rapida conclusione delle conferenze di servizi sugli articoli 11” Dunque ad oggi nessuno dei “Programmi di recupero urbano”, in gergo “articoli 11”, è in cantiere. Danno grave per Roma, effetto della mala politica secondo cui i programmi dell’ avversario, tanto più se utili alla città, vanno presi in ostaggio e bloccati. Cosa sono i Programmi di recupero urbano? Circa 1.700 milioni di euro per investimenti pubblici e privati nelle periferie romane, ricorda Repubblica. Periferie che si chiamano Acilia, Corviale, Fidene, Labaro, Laurentino, Magliana, Palmarola, Primavalle, Tor Bella Monaca, San Basilio, Valle Aurelia. Quartieri con oltre 400.000 abitanti. Investimenti per case, servizi e reti, ma soprattutto per nuove attrezzature. Cosa vuol dire? Basta elencarle: 49 parchi e giardini, 24 parcheggi, 22 asili e scuole materne, 15 medie ed elementari, 19 centri commerciali e di servizi (con incubatori d’ impresa e laboratori artigianali), 11 centri culturali (inclusi cinema e teatri), 4 biblioteche comunali, 3 musei, 15 impianti sportivi, 11 piste ciclabili, 7 mercati, 4 centri anziani, 8 tra centri civici, sedi di circoscrizioni e servizi socio-assistenziali, 4 alberghi. Tutto ciò era stato deciso e progettato con la più ampia partecipazione. A fine 1997 il Comune pubblicò un bando definito assieme ai Municipi. Risposero più di 200 imprese e operatori. Le proposte furono valutate da una Commissione tecnica cui partecipò anche la Regione. Poi centinaia di assemblee nei quartieri fissarono le priorità, discussero piani e progetti. Alla fine il Consiglio Comunale esaminò, cambiò, approvò (gennaio 2001). Per molti osservatori, anche europei, era finalmente la strada per vincere la sfida dell’ urbanistica contemporanea: per cominciare a rifare le periferie, dar loro funzioni, qualità, identità. Con questo traguardo cittadini, imprenditori e amministratori avevano lavorato assieme: evento nuovo, inammissibile per chi voleva restaurare la vecchia urbanistica. Dall’ aprile 2001 gli atti sono alla Regione. Il Presidente Storace fa sapere che se ne sta occupando. Da tre anni? Quale problema burocratico, se c’ è, non si risolve in tre anni? Quanti asili, biblioteche o alberghi si sono persi nel frattempo? * Docente di Urbanistica all’ università La Sapienza – DOMENICO CECCHINI*

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Corriere della Sera (5 gennaio 1996)

di FRANCESCO PEREGO
Corviale vittima innocente di un imbarazzante luogo comune? Il palazzo chilometro, costruito negli anni Settanta dall’ Istituto case popolari sulla via Portuense, e’ indicato da tutti come emblema di Roma sbagliata, caso limite della periferia che esaspera i conflitti, concentra il malessere, deprime la qualita’ della vita. Da tutti, tranne pochi specialisti di architettura, che ne hanno sempre difeso il progetto, e tranne gli abitanti, che ora inaspettatamente rivelano di non associarsi alla condanna. Parlano gli inquilini. Anna Francesca, operaia di una ditta di pulizie: “Le case non sono male, c’ e’ tutta la campagna. Mi affaccio alla finestra e mi pare di stare in villeggiatura”. Renzo, commerciante: “E un bello brutto; brutto esteticamente, ma molto funzionale. Per esempio ci sono le sale condominiali che sono bellissime”. Peppe, autista Atac: “Siccome e’ rinomato architettonicamente, alcuni artisti lo apprezzano. Noi non lo subiamo, lo viviamo! pero’ chiaramente non lo capiamo”. Le interviste fanno parte del materiale raccolto da Nicoletta Campanella nell’ ambito degli studi sulle comunita’ periferiche promossi dalla cattedra di Sociologia urbana di Franco Martinelli all’ universita’ “La Sapienza”, appena uscite in “Roma, Nuovo Corviale. Miti, utopie, valutazioni”, volume edito da Bulzoni. Cio’ che la ricerca sostanzialmente smentisce e’ che questo quartiere abbia creato un ambiente sociale particolarmente degradato. Per titoli di studio, tassi e tipologia di occupazione, i circa 3 mila abitanti di Corviale sono infatti perfettamente nello standard di tutta Roma, centro escluso, ed anche i loro comportamenti elettorali si allineano con quelli di altre zone della periferia consolidata (per esempio di San Basilio). Nulla indica che droga e criminalita’ vi alberghino in modo particolarmente perverso, e nemmeno e’ vero, contrariamente a una leggenda diffusa, che l’ architetto Mario Fiorentino, responsabile dell’ idea progettuale, si sia suicidato alla constatazione del danno arrecato alla citta’ . La verita’ invece e’ che Corviale, visto da vicino e da dentro, appare assai piu’ accettabile che pensato da fuori e da lontano. C’ e’ dunque una contraddizione, che forse racconta alcune cose sia sugli errori di pianificazione e di organizzazione, di patti economici e di scelte funzionali che nel nostro tempo hanno rotto la sintonia tra lo sviluppo della citta’ , specialmente dei quartieri intensivi, e l’ identita’ , le aspirazioni, l’ autorappresentazione dei gruppi sociali destinatari dei quartieri nuovi, sia sull’ inclinazione dell’ opinione pubblica a giudicare le trasformazioni urbane in modo quantomeno sbrigativo. Costruire Corviale e’ stato un errore. Non soltanto perche’ la preferenza delle famiglie romane per le case di piccola scala rende ingiustificabili i giganteschi quartieri popolari realizzati negli anni Sessanta e Settanta, a Corviale come a Spinaceto, Tor Bella Monaca e altrove, ma anche perche’ l’ Iacp, committente di quei progetti finanziati dallo Stato, doveva sapersi incapace di gestire la sovrabbondanza di verde e servizi profusa a contropartita della concentrazione degli alloggi. Pero’ all’ errore e’ stato posto parziale rimedio dal tempo, perche’ oggi gli inquilini di Corviale, come testimonia Nicoletta Campanella, “amano il mostro. Anche se non lo capiscono ne sono affascinati. Hanno quasi un senso di fierezza ad abitare in un palazzo cosi’ conosciuto, discusso e fatto oggetto di attenzione da parte dei media”. Ora il Comune sta per spenderci 8 miliardi in opere di completamento e riqualificazione. Si finira’ per riabilitarlo?